Giulio Paolini nasce a Genova il 5 novembre del 1940 e, dopo un’infanzia passata a Bergamo, si stabilisce nel 1952 a Torino, città dove vive e lavora tutt’oggi. È nel capoluogo piemontese che l’artista intraprende gli studi presso l’Istituto Tecnico Industriale Statale per le Arti Grafiche e Fotografiche Giambattista Bodoni, scuola che concluderà all’eta di diciannove anni. Dopo un anno dal conseguimento del suo diploma, anno durante il quale lavora nel settore grafico, nasce la prima opera: Disegno geometrico, una tela sulla quale l’artista disegna a tempera la squadratura della superficie. È l’esordio della sua carriera artistica che costituisce essa stessa l’origine di qualsiasi opera, l’operazione di squadratura è infatti preliminare a tutte le creazioni pittoriche o scultoree. In tal maniera l’artista mette in rilievo il “supporto”, ovvero la tela: è proprio da questa scomposizione, e dalla valorizzazione di una componente del processo di creazione, che Paolini sviluppa la sua poetica. Durante la sua prima mostra personale, tenutasi nell’ottobre del 1964 alla Galleria la Salita di Roma, Paolini non solo espone opere di riflessione metafisica sull’arte, principalmente tele in legno compensato, ma pone una riflessione sul processo stesso di esposizione. Infatti la mostra si presenta come se non fosse ancora completato l’allestimento: opere non appese, appoggiate una sull’altra. Si evince da questa prima personale un’estensione della riflessione dagli strumenti della pittura alla relazione dell’opera con lo spazio circostante.
Nel 1965 Paolini inizia a lavorare con la fotografia, introducendo nelle sue ricerche il rapporto fra opera e autore. Attraverso la fotografia si può infatti includere l’autore stesso, ed è proprio quello che accade in Delfo (1965), fotografia di un telaio vuoto dietro al quale vi è l’artista. Altro esempio celebre è Diaframma 8(1965), che riprende Paolini nell’atto di trasportare una tela per la città. Nell’autunno del medesimo anno esporrà le nuove opere presso la Galleria Notizie di Luciano Pistoi, che diventa suo principale mercante d’arte in quegli anni.
Troviamo un’altra prospettiva di riflessione in Giovane che guarda Lorenzo Lotto(1967), riproduzione fotografica, in egual formato, del dipinto di Lorenzo Lotto Ritratto di Giovane (ca. 1506). Attraverso il ribaltamento del titolo Paolini vuole riportare il momento dell’esecuzione pittorica e di conseguenza il rapporto fra Lotto e il giovane, innestando al contempo nello spettatore la sensazione di essere egli stesso il pittore. Questo legame che Paolini stringe con il passato dell’arte rimane indissolubile, come l’importanza che riserva allo sguardo: l’artista è testimone dell’opera e non suo artefice, egli è solamente colui che è riuscito ad osservarne la manifestazione: l’autore diventa spettatore.
Alla fine degli anni Sessanta Paolini entra in contatto con il movimento dell’Arte Povera, attraverso la consocenza di Germano Celant. Espone insieme ad alcuni artisti della corrente, come Boetti e Kounellis, nel 1967 a Genova, presso la Galleria La Bertesca e l’anno successivo alla Galleria de’ Foscherari di Bologna.
Tra gli anni Settanta e Ottanta partecipa a numerose mostre, in Italia come all’estero, a partire dalla sua presenza a diverse edizioni della Biennale di Venezia (1970, 1976, 1978, 1980, 1984, 1986) e della Documenta di Kassel (1972, 1977, 1982). Collabora con numerose gallerie d’avanguardia, di cui ricordiamo tra le italiane la Galleria Notizie, a Torino, la Galleria del Leone, a Venezia, La Tartaruga, a Roma e lo Studio Marconi di Milano. Tra le straniere invece la sua presenza è regolare alla Galleria Paul Maenz, a Colonia, alla Sonnabend di New York e alla Yvon Lambert di Parigi. Iniziano anche le prime apparizioni antologiche nei Musei, prima fra tutte la retrospettiva presso la Project Room del Museum of Modern Art a New York, nel 1974. Ricordiamo anche le importanti esposizioni antologiche dedicategli allo Stedelijk Museum di Amsterdam (1980) e alla Staatsgalerie di Stoccarda (1986) . Al contempo continua a partecipare alle collettive dell’Arte Povera e anche dell’Arte Concettuale.
È durante la Biennale di Venezia del 1970 che Paolini mostra uno dei primi legami con l’antichità classica, esponendo l’opera Elegia(1969): calco in gesso dell’occhio del David di Michelangelo, trasposizione in oggetto dell’atto di vedere. L’artista prediligerà nelle sue opere i riferimenti al neoclassicismo: calchi, colonne, regole della prospettiva e via dicendo, facendole riaffiorare come fossero un ricordo.
Un’altra ricorrenza fondamentale nella poetica di Paolini è il tema del doppio, che si presenta talvolta implicitamente, ad esempio con i calchi, i quali sono per definizione doppi degli originali, e talvolta esplicitamente come nella celebre opera Mimesi (diverse versioni dal 1975): due teste o due figure classiche, Hermes o Afrodite, poste una di fronte all’altra nell’atto di guardarsi, come davanti a uno specchio: ritorna l’azione del <vedere>. L’artista mette in scena un intreccio di rapporti e di distanze prima fra le due figure e poi fra le figure e lo spettatore.
Durante gli anni Ottanta, periodo più fitto di mostre, la ricerca di Paolini si concentra sulla teatralità: l’opera diventa spazio della sua stessa rappresentazione. All’aspetto della scenograficità confluisce un altro elemento fondamentale della sua poetica: la prospettiva, che permette di dare luce allo spazio, annullando invece la visibilità degli oggetti singoli. L’artista partecipa inoltre a vere e proprie realizzazioni teatrali, la prima volta nel 1969, quando crea scene e costumi per il Bruto IIdi Vittorio Alfieri (Teatro Stabile di Torino).
Dell’ultimo decennio del secolo ricordiamo la retrospettiva a cura di Peter Weibel presso la Neue Galerie am Landesmuseum Joanneum a Graz (1998) e successivamente riproposta alla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino. Di significativa importanza è anche la monografia curata da Francesco Poli e uscita preddo Edizioni Lindau (1990).
Nel 2003 Germano Celant organizza una delle più centrali mostre dedicate a Paolini, ripercorrendo gli anni dal 1960 al 1972, presso la Fondazione Prada a Milano.
L’autore continua ad indagare, o meglio ad osservare, i rapporti che costituiscono il linguaggio aristico, in particolare fra opera e autore, prediligendo negli utlimi anni come scena rappresentativa lo studio dell’artista.