Bruno Munari nasce il 24 ottobre del 1907 a Milano, ma trascorre la sua infanzia nella campagna veneta, a Badia Polesine, dove il padre Enrico gestisce un albergo. A diciott’anni, dopo aver completato gli studi tecnici, torna a vivere nel capoluogo lombardo dove inizia a lavorare come grafico presso lo studio di uno zio ingegnere. Al contempo comincia a conoscere l’ambiente futurista milanese, all’interno del quale non tarda a spiccare come uno degli esponenti più promettenti. A partire dal 1927 partecipa a diverse mostre collettive futuriste, tra le quali vi è l’esibizione Peintres Futuristes Italiens,tenutasi alla Galerie 23 di Parigi. Munari collabora attivamente nell’ambito futurista, non solo da un puno di vista strettamente artistico: si occupa della grafica di diversi progetti di Marinetti, sia letterari che teatrali, e tra il 1931 e il 1934 firma alcuni Manifesti legati alla corrente artistica. Firmato nel 1928 insieme ad Aligi Sassu Dinamismo e Riforma muscolareè un manifesto significativo per l’artista, con il quale viene incitato e celebrato un “mondo meccanico, animale e vegetale, completamente nuovo e originale”.
Pur essendo ancora legato al futurismo, Munari si avvicina gradualmente al movimento astrattista, conosce Lucio Fontana, Osvaldo Licini e altri artisti promossi dalla Galleria del Milione in quegli anni, d’ispirazione per l’artista sarà anche il costruttivismo, specialmente in riferimento alla Bauhaus. Si materializza progressivamente il suo tratto, poiché come egli stesso scrive “arte è ricerca continua, assimilazione delle esperienze passate, aggiunta di esperienze nuove, ….”. Vi è infatti in Munari una profonda voglia di dissociarsi dal concetto stereotipato di stile e dalla categorizzazione rigida all’interno dell’arte.
Tra il 1930 e il 1933 l’artista lavora alla creazione delle Macchine Inutili, progettate con lo scopo dicreare degli oggetti liberi dalla staticità tipica dei dipinti e delle sculture: oggetti in cartoncino, legno e vetro appesi a dei fili in acciaio, mobili, al movimento dell’aria: forme libere. Opere d’arte che si integrano e si relazionano con una “quarta dimensione”, come scrive lo stesso Munari: “il tempo”. Alla base delle Macchine Inutilirisiedono i principi che accompagneranno tutto il percorso artistico dell’artista, ovvero il dinamismo, l’utilizzo di materiali poveri, il perpetuo cambiamento, la casualità: muovendosi l’opera è in continua metamorfosi. Nel 1933 Munari espone per la prima volta le Macchine Inutilipresso la Galleria delle 3 Arti di Milano.
Nonostante la maturazione dei suoi progetti artistici continua ad occuparsi di grafica: nel 1938 inizia a lavorare per Mondadori e l’anno successivo diventa direttore grafico della rivista Tempo.
Nel 1945 realizza un’altra delle sue opere più significative: Ora X, un orologio, poi progettato in serie, le cui lancette sono 3 lastre trasparenti colorate di arancio giallo e blu che si muovono e si sovrappongono fra loro, variando così la cromaticità dell’insieme. L’opera, non priva di uno sfondo ironico, viene descritta dall’artista con le seguenti parole: è il colore degli attimi / è la macchina delle eclissi / è l’ora del relay / è l’ora X.
Dopo la realizzazione dell’Ora X, che lui stesso definisce come la sua prima creazione di arte programmata, si concretizza un nuovo periodo artistico, dal quale nasce alla fine degli anni Quaranta, più precisamente nel 1948, la fondazione del gruppo MAC, Movimento di arte concreta, insieme a Atanasio Soldati, Gianni Monnet e Gillo Dorfles.
Nel medesimo anno Munari inizia a lavorare alla serie di pitture Negativo-Positivo: composizioni di forme geometriche colorate rappresentate in maniera tale da non avere né sfondo né primo piano. Attraverso queste forme, completamente astratte e dissociate dalla realtà, l’artista gioca con la percezione visiva di chi guarda, ogni singolo occhio prediligerà una forma sovrastante sulle altre. La prima esposizione di un Negativo–Positivorisale al 1951, al Salon des Realités Nouvelles di Parigi, mentre la prima mostra dedicata a queste opere ha luogo quattro anni dopo a Milano, alla Galleria Apollinaire.
Altrettanto significativo nel percorso artistico di Munari è l’utilizzo della luce, anche come mezzo esplorativo dell’arte. L’artista la sperimenta sin dagli anni ’30, attraverso la tecnica dei fotogrammi, tecnica che poi abbandonerà per cercare di riprodurre la luce attraverso la pittura. Questo progetto continuo con tema principale la luce, lo porta alla creazione, durante la prima metà degli anni ’50, delle serie Proiezioni diretteeProiezioni a luce polarizzata. Munari presenterà proprio le Proiezioni dirette, insieme ai Libri illeggibili, durante la mostra dedicatagli (con Alvin Lustig) al MoMA di New York nel 1955, e nel 1960 a Tokyo al National Museum of Modern Art. L’apice del suo lavoro con la luce è la nascita negli anni ’60 dei Polariscop.
Nel 1958, ispirandosi a Duchamp, realizza le Sculture da Viaggio, opere in cartone pieghevole e contenute in scatole, dette appunto per questo “da viaggio”. Anche in questo caso l’artista ironizza sulla staticità e sulla monumentalità dell’arte scultorea, monumentalità dalla quale Munari si distacca categoricamente, e che trova il suo culmine nell’Arte di Stato, sulla quale egli infatti scrive: “Ed ecco apparire nella nostra amata patria le più piatte figurazioni artistiche, frutto del compromesso fra giurie incompetenti ma autoritarie”. E invece queste piccole opere in cartone valorizzano il concetto di leggerezza e costituiscono un legame “portatile” con la cultura. Le Sculture da Viaggiovengono esposte per la prima volta a giugno del medesimo anno di creazione alla Galleria Montenapoleone di Milano.
Vengono realizzate qualche anno dopo, nel 1963, le Xerografie originali, che come suggerisce il titolo si basano sulla tematica dell’autenticità e della copia, un altro tema molto caro all’artista. Munari è inoltre il primo ad utilizzare la fotocopiatrice per una creazione artistica.
Sempre negli anni Sessanta giungono due tappe importanti nella sua carriera, ovvero la prima mostra antologica, tenutasi nel 1965 a Tokyo, presso i magazzini Isetan, e nel 1967 l’invito da parte dell’Università di Harvard, a sosterenere cinquanta lezioni riguardanti l’arte e la comunicazione visiva. Alcune delle lezioni americane – non già di Calvino, ma di Munari – sono state raccolte nel volume del 1968, Design e comunicazione visiva.
Tra i premi più importanti vinti da Bruno Munari ricordiamo il Compasso d’oro, vinto tre volte (1954, 1955,1979), il premio dalla Japan Design Foundation(1985), il premio Spiel Gutdi Ulma (1971, 1973, 1987). Ricevette inoltre, nel 1989, la laurea honoris causain architettura dall’Università di Genova.
Ad affascinare e ispirare Munari è anche il mondo dell’infanzia: se ne occupa nell’arco di tutta la sua carriera, diverse le stampe di libri per bambini, soprattutto a partire dal 1940, anno di nascita del figlio Alberto. Ma è negli anni ’70 che l’artista comincia ad occuparsene più intensamente, sia a livello editoriale – collaborando con Einaudi e Zanichelli – sia a livello propriamente didattico, organizzando proprio dei laboratori per bambini. Ricordiamo in particolare il laboratorio tenutosi alla Pinacoteca di Brera a Milano nel 1977, primo workshop per bambini in un museo. E anche in questo caso Munari mescola le carte in tavola, liberando il rapporto fra musei e bambini, dagli stereotipi di esclusione.
Data da ricordare è senz’altro la retrospettiva organizzata dal Comune di Milano a Palazzo Reale, nel 1986, coronamento di un successo crescente sia a livello nazionale che internazionale. Durante la mostra venne presentato nella sala di apertura l’Alfabeto Lucini, per festeggiare i 63 anni di attività dell’officina d’Arte Grafica Lucini. Una seconda retrospettiva gli viene dedicata dal Museum für Gestaltung di Zurigo nel 1995: Far vedere l’aria. L’anno successivo Munari, 89enne, ma ancora ben attivo, si reca al Politecnico di Milano per tenere la sua ultima conferenza. Muorea Milano, due anni più tardi, il 29 settembre del 1998.