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Lugano
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Franca Coen Sonnino, nasce il 13 febbraio 1932 a Roma, in una famiglia di origine ebraica. Dopo la laurea in Lettere, si dedica con amore alla famiglia e inizia a lavorare a maglia maglioni e sciarpe per i figli, coperte e decorazioni per la casa.

Siamo nei primi anni Settanta; i figli di Franca sono ancora piccoli, e nell’appartamento immediatamente sotto al loro, nel quartiere Balduina, vive una minuta e operosa donna sarda—un’artista: Maria Lai. Tra le due donne nasce presto una reciproca fascinazione, e il mondo che Maria Lai porta con sé conquista la giovane casalinga. Di tanto in tanto, Maria porta a Franca i tessuti per il suo lavoro (il marito di Franca lavorava nell’industria tessile) e a volte perfino la cena, poiché, immersa nella sua opera, spesso dimenticava di prepararla.

Franca osserva Maria lavorare e creare, mentre Maria la incoraggia con una delle sue frasi più emblematiche: «Usa le mani per fare cose inutili—smettila di produrre oggetti utili.» Così Franca Sonnino comincia a sperimentare con la pittura, realizzando tele in cui, attraverso sottili linee dipinte, affiorano memorie e richiami alla filatura e alla tessitura. Si può intuire che Maria Lai abbia guidato in silenzio e con discrezione l’amica nella ricerca della propria creatività—tenendola per mano, ma senza mai indicarle la strada.

Proseguendo in queste sperimentazioni di “cose inutili”, Franca Sonnino trova nel filo—antico simbolo di femminilità, della sfera domestica e della “millenaria assenza delle donne”—il suo linguaggio principale e il punto di svolta. Inizia con tessiture bicolori, utilizzando ferri da maglia “grossi come bastoni” (come ricorda Mirella Bentivoglio in un saggio del 2002), fino ad arrivare alla sua cifra distintiva: l’impiego del filo di ferro avvolto in lana o cotone.

Dopo una prima mostra collettiva a Roma nel 1972, l’anno seguente tiene un’importante personale alla Galleria La Triade di Torino, presentata dal critico d’arte Luigi Carlucci.

Nel 1983 le viene dedicata una grande mostra al Palazzo dei Diamanti di Ferrara. I suoi libri e le sue biblioteche disegnati con il filo vengono esposti su pareti bianche, con giochi di ombre e spazi vuoti sulle superfici—opere di grande formato ma delicate nella presenza—tratti distintivi della sua raffinata pratica artistica.

Nella primavera del 1988, dopo numerose personali e collettive, la Cooperativa Esperienze Culturali di Bari organizza un’ampia esposizione dedicata a Franca Sonnino. Il testo è ancora una volta affidato a Marcello Venturoli, e questa volta le opere presentate sono i Paesaggi murali: vedute di campi arati e colline, rese in forma leggermente tridimensionale, evocando astrazioni oniriche.

Per tutto il 1990, Franca Sonnino partecipa a numerose collettive. Un evento particolarmente rilevante è Le Muse Inquietanti. Aspetti attuali della ricerca artistica femminile, tenutosi a maggio al Museo Civico di Rende, con contributi scritti di Elena Pontiggia e Federica di Castro.

Tre anni dopo, nel 1993, le sue opere approdano a New York, al Jonkers Education Art Center, nella mostra Photoidea a cura di Mirella Bentivoglio. L’anno seguente, nel 1994, tiene una personale alla Galleria Il Gabbiano di La Spezia, dal titolo Oltre il Segno, che segna l’inizio di una lunga collaborazione con la galleria ligure, che ospiterà più volte le sue opere.

Tra le sue mostre più recenti si ricordano: La forma del vuoto al Complesso del Vittoriano, Roma (2005), The other/L’altro, Padiglione Italia alla XI Biennale del Cairo (2008), e La Città a La Cuba D’Oro, Roma.

Dal 2019, Franca Sonnino è parte della mostra Threading Spaces—con la partecipazione di Nedda Guidi, Elisabetta Gut e Maria Lai.