A più di 50 anni dal suo apparire ed il suo svolgersi, a più di mezzo secolo dalla sua nascita, oggi abbiamo la serena ed ampia visione, l’agile prospettiva, per valutare appieno l’Arte Povera: un ampio movimento, tanto affascinante quanto variegato e libero e magico: un importante gruppo di artisti, che una volta di più dimostra quanto l’Italia, a fronte di un individualismo ed una corruzione drammatica, rimanga un paese insuperabile per fantasia, immaginazione e creatività. (Paolo Repetto)
Se si vuole comprendere da quali sedimentazioni, attraverso quali circostanze e tramite quali opportunità abbia preso vita, si sia sviluppata e infine definita l’Arte Povera, si devono prendere in considerazione altri fattori imprescindibili, nonché una serie di cause, apparentemente secondarie ma non meno determinanti, per la sua affermazione e diffusione a livello internazionale. Si deve anzitutto tener conto non solo del quadro storico entro il quale si sono manifestate le opere e gli eventi cui hanno dato corpo le azioni suscitate da essi, ma altresì quel contesto generazionale da cui provenivano i suoi protagonisti.
Di tale articolato fermento, e soprattutto della sensibile varietà di formalizzazione che distingue un artista dall’altro, si fa carico colui che più di ogni altro nel tempo e con maggiore assiduità nel seguire, coordinare criticamente gli sviluppi, favorire gli scambi, ne promuove le circostanze: Germano Celant.
Il giovane critico genovese, già vicino allo storico Eugenio Battisti, conia la nomenclatura “Arte Povera”, pur mutandola dal “Teatro Povero” di Grotowski, ma ne arrischia anche le motivazioni critico-ideologiche con alcuni testi ormai passati agli atti come storici, nonostante talune vistose obiezioni portate a essi da alcuni studiosi. Un vasto e complesso dibattito segna non solo le tappe dei percorsi espositivi del movimento – numerosissimi in Italia e all’estero, talvolta anche di considerevole respiro, di cui sarebbe lungo elencare la bibliografia – ma ne mette altresì in risalto le contraddizioni, le incoerenze e alcune divergenze all’interno del “non gruppo”.
Bruno Corà