

Nella cittadina austriaca di Klagenfurt nasce, il 28 marzo 1922, Mirella Bertarelli. I genitori sono italiani, il padre, Ernesto, medico e ricercatore, è appassionato di letteratura e di editoria, tant’è vero che per un periodo sarà direttore della casa editrice Hoepli di Milano. Mirella cresce fra i libri. Dopo un’infanzia trascorsa nella capitale lombarda, la giovane Mirella si muove fra la Svizzera tedesca e l’Inghilterra dove ottiene Diplomi di Proficiency in Inglese nelle Università di Sheffield e Cambridge, e nel contempo un bagaglio accademico plurilingue. Sin da giovanissima esprime la sua creatività: scrive poesie, in italiano e in inglese, e nel 1943, a poco più di vent’anni, pubblica la sua prima raccolta: Giardino, edita da Scheiwiller. Sei anni dopo sposa Ludovico Matteo Bentivoglio, professore universitario di Diritto Internazionale, del quale sceglie di adottare il suggestivo cognome. Insieme avranno tre figlie: Marina, Leonetta e Ilaria. Ed è proprio con la maternità che la visione delle cose cambia, l’artista scopre un processo linguistico strettamente collegato all’immagine, alla quasi fisicità della parola, in assenza totale di sintassi. L’esperienza di madre segna una riconnessione tra immagine segno e parola, una sorta di risettaggio, dove la parola codificata prende una nuova dimensione. «Se sono diventata artista» dirà in un’intervista molto più tardi, «lo devo proprio alla maternità. Infatti tutta la problematica del linguaggio – così importante nel mio lavoro – è una scoperta che mi deriva da quella comunicazione particolare che una madre stabilisce con i figli».
Nel corso degli anni la Bentivoglio espande i suoi orizzonti accademici e professionali. Nel 1958 frequenta il Salzburg Seminar for American Studies, appassionandosi contemporaneamente alla critica dell’arte. Qualche anno dopo scrive una monografia sull’artista statunitense di origine lituana Ben Shahn, uscita per le edizioni De Luca (1963). Pian piano il suo interesse per l’uso congiunto del linguaggio verbale e dell’immagine va nutrendosi, e l’artista si avvicina così a quei movimenti verbo-visivi delle neoavaguardie artistiche internazionali, nati nella seconda metà del secolo e dei quali sarebbe presto diventata protagonista. Le sue sperimentazioni artistiche viaggiano fra la Poesia Concreta, la Poesia Visiva e la Scrittura Visuale. I suoi sono giochi di parole, scomposizioni di significanti e collegamenti di significati, pieni di un’ironia intelligente che vuole sfruttare la potenzialità visiva del linguaggio.
Nel 1968 viene pubblicata, da Vallecchi, la sua seconda raccolta di poesie, Calendario, e al contempo ottiene l’idoneità all’insegnamento di Estetica e Storia dell’Arte nelle Accademie italiane. Nel 1969 partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia, alla quale presenzierà altre otto volte (nel 1973, in due diverse rassegne nel 1978, nel 1980, nel 1986, nel 1995, nel 2001 e nel 2009). Nel 1971 ha luogo una prima personale significativa alla Galleria Schwarz di Milano e due anni dopo una seconda antologica alla Galleria Pictogramma di Roma.
Con il passare del tempo l’artista esplora i diversi linguaggi dell’arte, come quelli della performance, della poesia-azione e della poesia-environment. Allestisce grandi strutture simboliche di matrice linguistica sul suolo pubblico, di cui celebre esempio è Ovo di Gubbio (1976). Ma soprattutto nasce in questo periodo la sua versione del libro d’artista, realizzato in pietra e frutto del desiderio di donare al libro un’immortalità anche fisica.
La Bentivoglio lamenta spesso l’assenza della voce femminile in ambito artistico-culturale, ecco perché si dedica alacremente e per tutta la vita all’attività di curatrice e organizzatrice di mostre al femminile. Ne è un esempio significativo la rassegna Poesia visiva, allestita a Roma, nello Studio d’Arte Contemporanea agli inizi del 1974, rassegna in cui una ventina di artiste internazionali espongono, all’interno della dicotomia tematica liberazione femminile e liberazione del linguaggio, una scelta di loro opere. Qualche anno più tardi, nel 1978, la Bentivoglio realizza, per la 37ma Biennale di Venezia, un’altra mostra declinata esclusivamente al femminile, Materializzazione del linguaggio. Qui 80 artiste rivendicano con forza un loro spazio creativo laddove la presenza maschile è ancora preponderante.
Nel corso degli anni Novanta l’artista approda in America in occasione di due importanti riconoscimenti. Nel 1992 partecipa ad una collettiva al MoMa di New York, mentre nel 1999 il National Museum of Women in the Arts di Washington le organizza un’antologica. Entrambi i musei americani dispongono di alcune opere di Mirella Bentivoglio nella loro collezione permanente e, come loro, anche altri istituti americani di rilievo, tra cui il Getty Institute di Los Angeles il Sackner Archive di Miami. Di questo decennio è anche la retrospettiva al Palazzo delle Esposizioni di Roma (1996) e la sua partecipazione per la terza ed ultima volta alla Biennale di San Paolo (1994).
Con il nuovo millennio l’attività espositiva dell’artista si intensifica, fra gli eventi più rilevanti vi sono le antologiche alla Galleria Oculus di Tokyo (2010), al Pomona College di Claremont (2003 e 2015), allo studio Eos di Roma (2013) e negli spazi del MACMA (Matino e Lecce, tra il 2011 e il 2013). Per quanto riguarda le collettive le opere della Bentivoglio sono presenti a Palazzo Pitti, a Firenze, nel 2001 e all’Expo di Milano nel 2015.
Nel 2011 l’artista dona la sua ricca collezione-archivio di arte al femminile al Mart (Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto). Una raccolta che custodisce anni di profondo impegno in nome della libertà di immaginazione e di linguaggio, un impegno volto all’emancipazione e all’uguaglianza.
Pochi giorni prima del suo 95esimo compleanno, a Roma, Mirella Bentivoglio muore: è il 22 marzo del 2017.