

Takesada Matsutani nasce il 1° gennaio del 1937, a Osaka. All’età di 17 anni inizia a seguire, alla Osaka Municipal High School of Crafts Arts, il corso di pittura tradizionale giapponese: Nihonga. Già malato da tre anni di tubercolosi, l’artista non frequenta con regolarità la scuola, e, anzi, trascorre gran parte della sua adolescenza fra le mura di casa e quelle dell’ospedale. In questa solitudine forzata e sofferente, che durerà ben 8 anni, Matsutani si immerge nella creazione pittorica e decide con determinazione che, una volta uscito, diventerà artista. Nel giugno del 1957 espone per la prima volta le sue opere, all’ottava edizione del Nishinomiya Art Exhibition, dove Shosaku Arao, un giudice specializzato in Nihonga, ne rimane colpito: vuole diventare il maestro di quel giovanissimo artista. Così sarà.
Quasi contemporaneamente, siamo nel 1954, nel breve spazio che unisce Osaka a Kobe – quello stesso spazio logorato dalle bombe americane – nasce il gruppo Gutai. Alla fine del decennio Matsutani guarisce e, profondamente affascinato da quella corrente artistica che cresce intorno a lui, cerca di avvicinarvisi. Gradualmente si allontana dalla tradizione Nihonga, e comincia a sperimentare vari materiali, alla ricerca della sua originalità. Scopre la colla vinilica, comincia a creare delle bolle e delle curvature, prima seccandola con l’asciugacapelli e in seguito soffiandoci dentro attraverso una cannuccia. Questa è la sua strada, ed è il primo a intraprenderla. A ispirarlo ulteriormente nella creazione di quelle forme circolari, implicitamente sensuali, è la visione del sangue al microscopio: forme organiche, ovali, sinuose, che cercherà di ricreare attraverso il suo materiale.
Nel 1960 mostra il suo lavoro al fondatore del movimento Gutai, Yoshihara, che rimuginerà tre anni, prima di invitarlo ufficialmente a far parte del gruppo (nel 1963). Nel medesimo anno Matsutani tiene una personale alla Gutai Pinacotheca di Osaka e due anni più tardi ha luogo la mostra Groupe Gutai, tenutasi in tre sedi: alla Galerie Stadler di Parigi, alla Mickery Arthous a Loenersloot e alla Kölnischer Kunst verein di Colonia.
Nell’agosto del 1966 il governo francese collabora con l’organizzazione del 1st Mainichi Art Competition: all’artista che avrebbe ottenuto il premio sarebbe stata data la possibilità di seguire un corso di sei mesi a Parigi. Matsutani lo vince e nel giro di tre mesi si ritrova nella capitale francese: spaesato e senza conoscere né l’inglese né il francese.
Lontano dal Gutai e lontano dalla sua colla vinilica, l’artista trova nell’incisione un nuovo modo per concretizzare la sua immaginazione. Entra così a far parte dell’Atelier 17 di Stanley William Hayter, che era per l’appunto uno studio di gravure.Matsutani si integra in poco tempo in questo nuovo mondo: diventa asisstente di Hayter e al contempo conosce la sua futura moglie, Kate Van Houten. Nel 1968 tiene la sua prima personale parigina, alla Galerie Zunini. Quando i membri del Gutai gli porgono una sorta di ultimatum, chidendogli di tornare in Giappone (“se non torni, sei finito”), Matsutani decide di rimanere a Parigi. È un periodo felice e non vi rinuncia.
Ma, in piena immersione europea, non può, e non vuole, dimenticare le sue origini. Dopo un periodo di colori, torna al bianco e torna al nero: in una rievocazione della calligrafia, della filosofia zen, dello Ying e dello Yang. Per caso, o per illuminazione, inizia a ricoprire la superficie di un foglio bianco con una matita, con quel suo colore metallico quasi argentato: “selvaggio”, come lo definisce l’artista. L’idea piace e così continua a utilizzare la grafite, a ricoprire superfici (che non sono più della grandezza di un foglio ma di 10 metri di carta), con un processo di lavorazione lunghissimo: ma Matsutani è paziente, ne conosce il risultato. Da qui nasce la serie Stream, richiamo a un “moving, flowing river.”, spiega Matsutani, “the idea of a river is that it is always changing, where each atom is in perpetual motion, with no beginning and no end.”
Durante gli anni ’70 inizia ad esporre negli Stati Uniti: si reca in California, prima per una collettiva, al San Francisco Museum of Art (1973), e in seguito per una personale alla Galery Don Soker-Kaseman, sempre a San Francisco (1978). Nel’78 partecipa anche alla mostra Surrealism 1978, al Milwaukee Art Center. Al contempo condivide con Kate Van Houten uno studio nelle zone di Montparnasse: si dedica alla serigrafia dei suoi primi lavori e collabora con altri artisti, fra cui Kumi Sugai. Nel 1972 viene invitato alla Biennale di Venezia, nella sezione delle stampe, a presentare le sue nuove opere, fra cui Red-Sun-P (1972).
Fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ‘80, dopo ormai più di dieci anni passati nella capitale francese, l’artista si interroga sulla sua identità, a metà strada fra Oriente e Occidente. A donargli l’ispirazione è un trattato degli anni ‘30 di Junichiro Tanizaki, In Praise of Shadows. L’arte occidentale, concentrata sul progresso e sulla razionalità, viene contrapposta alla delicatezza e alla finezza dell’arte asiatica: la prima viene identificata con la luce, la seconda con l’ombra. Matsutani si imbatte in un passaggio del trattato sulle ombre che gli darà l’illuminazione: “When we see that shadowy surface, we think how Chinese it is, we seem to find in its cloudiness the accumulation of the long Chinese past, we think how appropriate it is that the Chinese should admire that surface and that shadow”. Profondamente colpito dalle parole di Tanizaki, torna ad utilizzare la colla vinilica e crea delle ombre attraverso l’utilizzo della matita: unisce i due materiali che hanno scandito i suoi due grandi periodi artistici, e così nasce un terzo. Opera emblematica nata da questa unione è Joint 2 – 86(1986).
A partire dalla seconda metà degli anni ’80 inizia un fittisimo periodo espositivo, tiene numerose personali in giro per il mondo: alla Galerie Faust di Ginevra (1985), al Contemporary Art Center di Honolulu (1986), alla Galleria Marina Dinkler di Berlino (1986 e 1988) e alla Galerie d’art actuel di Bruxelles (1989).
Fra le molteplici mostre antologiche dedicategli nel corso del secondo millennio ricordiamo le più significative: alla Carns Regional Gallery (2002), alla Galerie Richard di New York (2013) e infine al Centre Pompidou di Parigi (2019).
Takesada Matsutani vive e lavora ancora oggi a Parigi.